«Annu nou, vida noa». Il Capodanno sardo che non c’è più - itCagliari

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«Annu nou, vida noa». Il Capodanno sardo che non c’è più

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Il Capodanno sardo era visto principalmente come momento di passaggio al futuro. Un vero e proprio “salto nel vuoto”, legato indubbiamente a rituali di presagio e auspicio, ormai scomparsi, ben lontani dallo sfarzo e dalla pomposità moderna.

L’ansia del domani. I riti propiziatori

Il Capodanno segnava l’inesorabile passaggio dal passato al futuro, con il finire di un anno e l’iniziare di un altro. Si richiamavano di colpo speranze e smarrimenti. Di conseguenza, quando si prendeva coscienza di questo divenire, le persone erano prese da sentimenti di incertezza e paura verso tutto ciò che potesse essere il futuro. Ecco dunque che il Capodanno portava i sardi, spinti dal timore verso l’ignoto, a chiedere propiziazioni per scacciare il male.

I riti di auspicio nel Capodanno. Gli amori nati e finiti dalle foglie di ulivo

Molti dei riti di auspicio, che accompagnavano il Capodanno sardo, sono  andati ormai scomparsi, ricordati, a malapena, dal popolo più anziano. Qualcun altro, però, sembra resistere ancora, seppur con riserva. Il gettar via un oggetto fuori uso, ad esempio, è un rito noto a tanti, ma viene continuato da pochi, almeno nel suo significato propiziatorio originario. Interessante forma di auspicio cagliaritana, ormai in rapida estinzione, se non scomparsa del tutto, è l’olieddu, spiegata da Francesco Alziator ne La Città del Sole (1984). Si pongono delle foglie fresche d’ulivo sulla cenere calda e queste, in seguito a fenomeni di evaporazione  prodotti dal calore, subiscono bruschi spostamenti. Dagli auspici ricavati, in questo modo, i sardi interpretano il destino d’amore di due persone. Più le foglie si allontanano, più il sentimento va a scemare; viceversa, le foglie più vicine indicano un possibile matrimonio. «Annu nou, vida noa» è la formula, ancora molto diffusa, con la quale si guarda al futuro con maggiore positività.

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Le tradizioni del Capodanno sardo. I ciascus

Un’ altra tradizionale forma di auspicio del Capodanno sardo, scomparsa ormai da molti anni, era l’usanza del ciascus. Questi erano bigliettini sui quali si scriveva qualcosa di generico legato all’amore, al futuro e altro. Avvolti su sé stessi, venivano estratti come numeri di tombola e ognuno poteva trarne il suo responso. Secondo l’Alziator, il nome è di origine spagnola. Chasco è la burla, l’inganno, e l’espressione donai ciascus aveva come significato rispondere negativamente a una profferta d’amore.

«Annu nou, vida noa». Il Capodanno sardo che non c’è più ultima modifica: 2019-01-01T13:41:19+01:00 da Gianmarco Cossu

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