La minaccia della sua puntura è subdola e spaventa chiunque che, per qualche sventura, ci abbia a che fare. La sua leggenda attraversa tutta la Sardegna e storicamente, pare sia stata la responsabile dell’avvento della malaria. Ma nella nostra mitologia sa Musca Maccedda è la macellaia custode dei tesori.
La leggenda de Sa musca maccedda
Per molti all’apparenza ha le dimensioni di una normale mosca, di un tafano. In altri racconti invece, viene rappresentata enorme, quasi quanto la testa di un cavallo o addirittura quanto una pecora, il che la rende ancora più temibile. Ha potenti ali con le quali produce un ronzio talmente forte che il suo passare si sente a chilometri di distanza e con il suo enorme pungiglione, affilatissimo e velenoso, ferisce le persone, uccidendole.
L’origine del suo nome sembra unanime in tutta l’isola: sa musca maccedda è la mosca macellaia. Una volta catturata miracolosamente dai sardi, venne sfruttata e messa a guardia un tesoro nascosto. Alcune leggende narrano che il tesoro in questione fosse quello delle Janas, le fate della nostra mitologia che, intente a tessere la loro tela d’oro, sfruttavano sa musca maccedda come un guardiano.
Tante versioni
Essendo la Sardegna, aihmè, sempre stata oggetto di angherie e scorribande da parte dei tanti popoli che approdavano nelle nostre coste, la leggenda de sa musca maccedda nasce proprio per scoraggiare i furfanti. I tesori infatti erano tanti, in quanto gli antichi sardi nascondevano le proprie ricchezze sottoterra, in prossimità di grotte, torri e nuraghi. E per preservarli raccontavano che a guardia dei loro preziosi c’erano questi temibili custodi. Si tramanda inoltre sempre dell’esistenza di due bauli: uno contenente il tesoro, e l’altro contenente la mosca.
Per questa ragione nessuno aveva il coraggio di andare a cercare i vari tesori sparsi per la Sardegna, poiché, aprendo il baule sbagliato, avrebbe rischiato di rimanere ucciso.
Ancora oggi si racconta che essa si trovi dentro una famosa roccia della Barbagia, Texile ad Aritzo. Una volta catturata infatti, sa musca maccedda venne rinchiusa proprio dentro questa roccia dalla forma di un “tacco” e che li dentro aspetti ancora che qualche curioso si avvicini a risvegliarla. Sempre nello stesso tacco inoltre, si racconta che Sant’Efisio avrebbe predicato la fede cristiana a tutta la Barbagia, trasmettendo cosi l’appellativo “Sa Trona de Santu Efis” al monte. E fu proprio Sant’Efisio a liberare la Sardegna e tutto il cagliaritano dalla malaria. Sarà forse una coincidenza??