In tutta l’area del Campidanese, la notte della Vigilia prende il nome di Sa Notte ‘e Xena, ovvero La notte della Cena. Si tratta di un momento molto sentito, uno dei pochi in cui l’intera famiglia ha la possibilità di riunirsi accanto al fuoco del caminetto.
La notte della Vigilia tra sacro e profano
Il Natale è una delle festività più amate nell’isola, dalla popolarità di poco inferiore a quella della Pasqua. Nonostante sia legata alla tradizione religiosa, in passato si coglieva l’occasione di celebrare in questi stessi giorni alcuni antichi riti del fuoco legati alle origini pagane dell’isola. In ricordo di tali rituali, durante Sa Notte ‘e Xena, era consuetudine accendere, come segno di buon auspicio, un particolare ceppo natalizio, chiamato su truncu de xena. Questo, posizionato all’interno del camino, doveva ardere fino al mattino del giorno successivo.
Era consuetudine credere che chiunque avesse il privilegio di nascere la notte di Natale, godesse di una protezione speciale contro sventure e malattie.
In occasione de Sa Notte ‘e Xena si aveva anche finalmente la possibilità di ostentare il proprio presepe, rigorosamente artigianale. Alle statuine, create dall’argilla, si accompagnava il muschio fresco accuratamente trasportato e conservato, per evitare che si riducesse in piccoli pezzi.
Al rintocco della mezzanotte, l’intera famiglia si recava infine in Chiesa, per l’occasione pervasa dall’odore di incenso e dalla luce soffusa degli innumerevoli ceri accesi.
Sa Notte ‘e Xena: il menù tipico
Da tradizione, i preparativi per la vigilia iniziavano diversi giorni prima dell’evento e vi partecipavano tutti i membri del nucleo familiare. Per rendere omaggio alla festività, la cena tendeva spesso a protrarsi fino alle prime luci del mattino.
Il cenone de Sa Notte ‘e Xena era composto dai piatti della tradizione e da prelibatezze uniche, come la carne che nei periodi di povertà non si era soliti consumare. Per tali motivi, tutti erano obbligati a saziarsi affinché non rimanesse nulla di quanto preparato. I bambini, in particolare, erano invitati a magiare in abbondanza, in caso contrario avrebbero ricevuto la sgradita visita di Maria Punta ‘e Orru (nelle zone interne dell’isola è anche conosciuta come Palpaeccia). Durante il sonno, questa si sarebbe fatta strada nei loro letti e, appurato che il loro ventre era vuoto, li avrebbe trafitti con uno spiedo oppure schiacciati con un enorme masso.
Nel menù non potevano mancare le frattaglie di agnello e il maialetto, cotto lentamente nel fuoco del caminetto. Come antipasto, salsiccia secca e formaggi tipici, come l’immancabile pecorino. A seguire culurgionis cui faceva eco il maiale e l’agnello. Ad accompagnare il tutto, verdure semplici (sedano, ravanelli e cardi) e, naturalmente, del buon vino novello. Il pasto si concludeva con la frutta secca e i dolci della tradizione (amaretti, pane di sapa e il croccante di mandorle e nocciole). Tocco finale, il brindisi con il fil’e ferru, l’acquavite tipica sarda.
Dopo la cena, ci si intratteneva con le storie e gli aneddoti dei più anziani. In alternativa, si ricorreva ad alcuni giochi tipici, come la tòmbula, su barralliccu (una sorta di trottola) o set’è mesu.