Dal corteggiamento al fatidico ‘sì’, il matrimonio in Sardegna è un aspetto fondamentale della tradizione e fase quasi immancabile del ciclo dell’uomo. Sebbene la sopravanzante modernità dei costumi abbia ormai cancellato i momenti topici del rapporto amoroso, nell’Isola la tradizione popolare riconosce alcuni momenti fondamentali.
Su fastiggiu, quando l’amore sboccia sotto il balcone
Parlando del matrimonio in Sardegna e in particolare della fase iniziale della relazione tra un ragazzo e una ragazza, mai dimenticato è il momento de su fastiggiu. Questo altro non è che il corteggiamento, l’amoreggiamento tra i due giovani fatto di semplici sguardi. Francesco Alziator, in La Città del Sole, ne parla come un’istituzione ereditata dalla tradizione spagnola, ben lontana dalla concezione sarda del matrimonio-contesa. «Funti fastiggendi» dicevano i nostri nonni, quando vedevano due innamorati lanciarsi sguardi appassionati. Lei dal balcone di casa, lui sotto, nella via, e magari al freddo. Talvolta, questo corteggiamento era fatto di cenni o di comunicazioni a dir poco criptiche.
La musica nell’amore. Da mezzo per la conquista a strumento di vendetta
Durante il corteggiamento, non erano rare nella tradizione le serenate, con l’innamorato che concedeva alla sua lei performance canore a suon di mandolino. Capitava, però, che i tentativi di conquista del cuore della donzella non andassero a buon fine. O che magari il rapporto fra i due si sfasciasse. Ecco allora l’amante deluso usare la musica come strumento di vendetta. Si parla di cantai de malas: a suon di musica si mettevano in piazza i peccati di lei. Spesso la prestazione veniva compiuta anche con l’ausilio di una “orchestra”e il supporto di un pubblico tacito. In alternativa, l’infatuato risentito poteva lanciarsi nell’uso de gettai sa tinta, imbrattando di inchiostro la facciata o l’uscio di casa della sua non più amata.
Il matrimonio in Sardegna. Lui, lei e il “ruffiano”
Tradizionalmente, e sino a tempi non antichissimi, il matrimonio in Sardegna era combinato dai genitori dei due giovani, spesso a loro insaputa. Figura utile e apprezzata per l’avvicinamento della coppia era su paralimpu. Si trattava del comune “ruffiano”, incaricato di mettere in contatto i promessi sposi. Spesso non disdegnava qualche trucco del mestiere e a nozze fatte su paralimpu riceveva un paio di scarpe nuove.
L’amore nella tradizione, l’approvazione e il rifiuto
L’atto formale del fidanzamento ufficiale era sa intrada in domu. Il giovane aveva l’onore di entrare a casa della ragazza e veniva presentato ai genitori. Poteva capitare, tuttavia, che la donzella respingesse le profferte d’amore. Si diceva allora «donai crocoriga» (‘dare zucchine’) o «donai ciascus». E ancora, in altri casi, «donai su pagliettu», con lo spasimante mandato letteralmente al diavolo.
Le nozze, il rituale dimenticato
In assenza di impedimenti, i fidanzati convolavano a giuste nozze. In qualche caso, in maniera un po’ rocambolesca, con gli innamorati costretti a sposarsi in fretta e furia. Due testimoni, il parroco a “prendere la presenza” e la coppia era salva dalle gelosie o dagli interessi della famiglia. Altre volte, invece, si seguiva un vero rituale di festa, oramai dimenticato. Il piccolo corteo nuziale dalla casa della sposa si recava alla parrocchia e dopo il ‘sì’ ecco il lancio del grano sulla coppia che esce dalla chiesa. È il gesto propiziatorio de s’arazza (‘la grazia’), replicato da parte della madre dello sposo al momento dell’ingresso nella nuova casa.
Il matrimonio in Sardegna. La vita dopo le nozze
Nel matrimonio sardo la tradizione voleva che l’uomo portasse le suppellettili domestiche e la donna la biancheria d’uso. A termine della cerimonia gli sposi offrivano su cumbidu ,un piccolo ricevimento riservato agli ospiti, ai parenti e agli amici. Dopo la festa, per molte neonate coppie era difficile parlare di viaggio di nozze. Ci si limitava a una semplice gita fuori porta. La condizione della donna, inoltre, era subalterna a quella del marito. La moglie era semplicemente la madre dei figli, grande ricchezza per una famiglia, e non era insolito riservare al coniuge l’uso del cognome, in un atteggiamento servile.