Situata nei pressi dell’Anfiteatro Romano, nell’odierno quartiere di Stampace, la Villa di Tigellio è un perfetto esempio di come Cagliari doveva apparire durante il suo periodo romano. L’antica Karales, così era chiamata la città dagli antichi romani, ospita uno dei siti archeologici più importanti della Sardegna. Nell’area, in realtà, non vi è una sola abitazione ma un vero e proprio spaccato di ciò che doveva essere un quartiere residenziale dell’epoca.
La storia della Villa di Tigellio
L’inizio degli scavi nell’area risalgono all’Ottocento, in seguito alle intuizioni del canonico Giovanni Spano. Dopo attendi studi ed indagini storiche, lo studioso individuò infatti i primi resti di alcuni reperti di stampo tipicamente romanico. Il nome stesso del sito, Villa di Tigellio, è da attribuirsi allo storico. Con il proseguire degli scavi, egli arrivò di fatto ad attribuire i resti dell’abitazione al poeta e musico sardo Tigellio Ermogene. Stando ad alcuni documenti rinvenuti nei Codici d’Arborea, il personaggio del tempo noto per la sua ricchezza e stravaganza, aveva acquistato il terreno ai piedi del colle di Buoncammino, per costruirvi la sua sontuosa dimora. In realtà, tale denominazione sarebbe errata. L’uomo invidiato da alcuni suoi più famosi contemporanei, Orazio e Cicerone, per il suo incredibile talento musicale, non avrebbe in realtà mai preso possesso dell’abitazione.
Altri scavi portati a termine nel sito, risalgono agli anni 60 e ai primi anni 80.
Non una singola villa ma un frammento di quartiere residenziale
Nonostante il nome, la Villa ospiterebbe ben tre abitazioni patrizie e un complesso termale. La loro costruzione risale al I sec. a.C. e, da studi successivi, parrebbero esser state abitate fino al VI-VII sec. d.C.
Delle terme, è ancora ben visibile il pavimento del calidarium, in mattoni laterizi. Si tratterebbe dell’area interna, destinata all’acqua calda e ai bagni di vapore.
Per ciò che concerne gli edifici di lusso proprietà dell’élite del tempo, questi sono un classico esempio di edilizia romana. La tecnica di costruzione, ereditata dai punici, è chiamata a telaio. Prevedeva l’utilizzo di grossi pilastri verticali, posti ad un determinato intervallo gli uni dagli altri. Nel mezzo, i muri erano costruiti con pietre di piccola grandezza.
Le abitazioni rinvenute nella Villa di Tigellio possiedono, in particolare, un atrio formato da quattro colonne che sorreggono il caratteristico tetto spiovente. Questo, prendeva il nome di impluvium e aveva il compito di far confluire le acque piovane in una cisterna sotterranea. Oltrepassato l’atrio, è possibile scorgere lo studio del padrone, nonché stanza adibita al ricevimento degli ospiti. Gli ambienti ai lati, invece, sarebbero invece delle camere destinate alla notte.
Delle tre costruzioni appartenenti al complesso della Villa di Tigellio, solo due sono arrivate a noi in buone condizioni. Una è la Casa del Tablino dipinto, così chiamata per i pregevoli mosaici colorati utilizzati nella pavimentazione e gli affreschi con cui erano ornate le pareti. L’altra, è la Casa degli stucchi. Come si può dedurre, la ragione del suo appellativo è da ritrovarsi nel materiale usato per decorarne le pareti. Della terza villa, è visibile solo una parte del perimetro in mattoni.